Nazionale

Un calcio ai tabù: gli Europei femminili, le azzurre, il linguaggio

La ribalta tv del calcio femminile fa affiorare ritardi anche nel racconto. Manuela Claysset, Uisp: "Declinare al femminile non è un vezzo"

 

Si sta svolgendo in questi giorni in Inghilterra il Campionato europeo di calcio femminile, che si concluderà domenica 31 luglio. Partecipano 16 nazionali, tra cui l’Italia, e, per la prima volta, le partite vengono trasmesse da RaiSport e Sky Sport, mentre gli incontri delle azzurre si possono vedere su RaiUno, anche in prima serata, come è capitato per Italia-Francia. “Un fatto storico – commenta Manuela Claysset, responsabile Politiche di genere e diritti Uisp - finalmente lo sport femminile, il calcio in questo caso, ottiene il riconoscimento che gli spetta. Deve essere così, per far conoscere lo sport delle donne deve aumentare la sua visibilità. Per il futuro ci auguriamo anche di avere maggiori spazi per lo sport sociale, quello dei quartieri e delle periferie”.

Anche per ciò che riguarda l’ambito sportivo il servizio pubblico deve svolgere al meglio il proprio ruolo di informazione e di servizio, a partire dal linguaggio. “Seguire le partite di calcio femminile di queste serate fa emergere diverse contraddizioni – prosegue Claysset - ascoltiamo definizioni quasi sempre al maschile, dire giocatrici o calciatrici sembra uno sforzo, mentre non vengono mai declinate al femminile parole come difensore o portiere, e si utilizza la famosa formula ‘marcare a uomo’. Declinare al femminile non è un vezzo, si tratta di dare la giusta visibilità alle protagoniste in campo e di fare un corretto utilizzo della lingua italiana. Inoltre, le parole esprimono e definiscono il pensiero”.

Certe parole certamente possono sembrare strane, in particolare nello sport; la cultura del calcio è piena di parole al maschile, ma occorre fare uno sforzo per dare maggiore attenzione e riconoscere il genere delle persone in campo. I ruoli del calcio non sono maschili, non sono proprietà di un genere. “Certo, fatichiamo a dire difenditrice, ma forse possiamo sforzarci a dire le giocatrici in difesa, utilizzare “marcare a persona”, iniziare ad avere maggiore attenzione e utilizzare i termini giusti, che non sono storture dell’italiano ma parole corrette”.

Un approfondimento in questo senso è stato fatto dall’Uisp in occasione della stesura del manifesto Media, donne, sport. Idee guida per una diversa informazione, redatto insieme all’associazione Giulia Giornaliste. Due dei cinque punti inseriti nelle linee guida erano proprio dedicati alla visibilità e linguaggio: dare alle discipline sportive femminili visibilità al pari di quelle maschili in termini di spazi e, a partire dalla programmazione pubblica televisiva e radiofonica, di collocazione oraria. Impegnare gli editori a coinvolgere più giornaliste e commentatrici nelle redazioni sportive, nella cronaca televisiva e radiofonica; declinare al femminile i ruoli, le funzioni e le cariche: ad esempio la centrocampista, l’arbitra, la dirigente, la presidente, la coach, l’allenatrice. Il grande successo e l’affetto nato dalla partecipazione delle azzurre ai Mondiali di Francia del 2019 è servito a smuovere le acque, facilitando l’apertura delle porte di RaiUno alle ragazze del calcio. La questione linguistica, come quella culturale, richiedono più tempo per assimilare la novità e far entrare nel lessico comune parole ancora poco utilizzate. “Sarebbe anche utile cambiare il linguaggio, io lo chiedo alle mie giocatrici: non dite marcatura a uomo, ma individuale. Centrale di difesa, ad esempio, è abbastanza neutro. Se ci abituiamo a parlare in un certo modo, questo ci aiuterà a percepire le novità di molte realtà. È così che culturalmente si fanno passi avanti”, sono le parole della ct Milena Bertolini, intervistata dal quotidiano la Repubblica nel 2019.

Milena Bartolini è anche la voce narrante di “Azzurro Shocking”, un video esemplare ed emozionante prodotto da Rai e Rai Sport trasmesso sabato 9 luglio su Rai 1 e in contemporanea su Rai Play. E’ la storia della rivoluzione sociale che stanno portando avanti le calciatrici italiane, ricostruita grazie al materiale di repertorio proveniente da archivi internazionali e dalle Teche Rai. Al minuto 24 del video si parla di Mariagrazia Pinna, prima arbitra di calcio negli anni '70 con l’Uisp, che non chiudeva la porta in faccia alle donne nello sport, nel calcio come nel rugby e altre attività. “Azzurro shocking” è il racconto di come le donne si sono riprese il calcio. Insieme a quella di Mariagrazia Pinna ci sono le testimonianze di decine di protagoniste di questa scalata, molte delle quali oggi militano nella Nazionale di calcio femminile impegnata in questi giorni in Inghilterra. Ma ci sono molte interviste di repertorio che testimoniano come i pregiudizi, ancora presenti, abbiano radici antiche.

Su questi temi siamo tornati proprio un anno fa, nel luglio 2021, in occasione delle Olimpiadi di Tokyo, con un numero speciale di Uispress, l’Agenzia stampa Uisp, dedicato a donne, diritti e parità di genere. Al suo interno è possibile trovare i contributi di giornaliste e di dirigenti Uisp, studiose ed esperte. In particolare, la ricercatrice dell'osservatorio di Pavia, Università Ca’ Foscari di Venezia, Monia Azzalini, ha realizzato un approfondimento su lingua e genere, trattando anche la resistenza culturale all’uso dei nomi femminili.

“La lingua italiana – scrive Azzalini - ha una struttura grammaticale, intrinseca, funzionale a nominare le donne in modo paritario rispetto agli uomini, anche nel caso di professioni e ruoli storicamente maschili… il problema va principalmente attribuito a una resistenza culturale a riconoscere la presenza delle donne nei luoghi di potere o tradizionalmente appannaggio maschile. Una resistenza che produce incertezze e continue oscillazione fra forme femminili e maschili per indicare alcune posizioni o professioni e una certa incoerenza negli accordi di genere che contribuisce a rendere l’identità femminile instabile. Questi fenomeni linguistici sono ascrivibili a diverse concause che si rafforzano a vicenda, fra le quali si possono individuare: una diffusa mancanza di metacompetenza linguistica sulla natura del linguaggio e sulla sua funzione nella costruzione delle identità (non solo di genere), la mancanza di una politica linguistica unitaria e condivisa su scala nazionale, l’opposizione da parte di alcune donne autorevoli ad auto-definirsi al femminile”. (di Elena Fiorani)